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Written by: Città e Territorio

Il villaggio di Battir combatte l’isolamento

Territori palestinesi occupati. Pur essendo solo un piccolo villaggio di contadini nella Palestina Occupata, Battir attira molti interessi. Dal 2008 l’Unesco ha insediato qui il suo landscape office con un gruppo di lavoro costituito da palestinesi e italiani. Il paesaggio è in effetti unico: dolci pendii digradano verso la valle con ordinati terrazzamenti, serviti da un sistema di canali per l’irrigazione risalenti all’epoca romana. Da qui si vede la periferia di Gerusalemme, la colonia di Gilo. Con l’occupazione militare, dal 1967, l’equilibrio territoriale è stato sovvertito e il sistema dei commerci ha dovuto riorientarsi verso Betlemme. La ferrovia Gerusalemme-Tel Aviv è ora linea di confine e il treno non ferma più alla stazione di Battir. Il paesaggio porta evidenti i segni della lotta per il territorio: sul versante israeliano della collina, l’aggressiva architettura delle colonie; sul versante palestinese, oltre i filari di ulivi, le mimetiche abitazioni di pietra della tradizione locale. Anche lo sgrammaticato edificato recente mantiene le forme e i colori della tradizione, rimanendo quasi nascosto al primo sguardo.
L’architetto Samir Harb spiega che «l’unicità di questo luogo è data dalla presenza di fonti d’acqua, che hanno stimolato la continua interazione uomo-territorio». Il lavoro dell’Unesco è stato ora premiato dal Melina Mercouri International Prize for the Safeguarding and Management of Cultural Landscapes, un importante riconoscimento dell’impegno svolto nella protezione del paesaggio culturale. Com’è evidente sulla mappa, la costruzione del Muro sta isolando Battir dal territorio circostante. È evidente che l’aspetto politico non è secondario. Nicola Perugini, antropologo Unesco, sostiene che «in un paesaggio che è stato spezzato in frammenti di territorio appare essenziale riconnettere le enclavi discontinue dei villaggi, contrapponendovi un sistema di mobilità, basato su una profonda comprensione sia del paesaggio tradizionale esistente sia del processo di trasformazione in corso». 
Il progetto presentato prevede di rivalorizzare il paesaggio culturale e gli elementi territoriali dell’area sfruttandone i punti nodali e articolandoli in un sistema ecologico e sostenibile di percorsi. Il 2 marzo è iniziata la prima fase dei lavori: il recupero ambientale della vallata. La cooperazione italiana è il partner principale, oltre a enti specializzati nella gestione dei rifiuti solidi, delle acque e nella protezione ambientale in genere: Federparchi, Publiambiente, Ipres (Istituto pugliese di ricerche economiche e sociali), Provincia di Lecce e Comune di Empoli. L’ultimo passaggio riguarderà le strutture per la ricezione alberghiera e la ristorazione.
Il destino di questo progetto non è molto chiaro: mentre l’Unesco inaugura il parco socio-culturale dell’ecomuseo, Israele pianifica di chiudere qui l’anello di colonie che circonda Gerusalemme Est (dal blocco di Gush Etzion, Har Gilo, Har Homa, fino a Ma’ale Adumim). Nella strana condizione di progetto utopico pensato per un territorio destinato con ogni probabilità a divenire inaccessibile, i percorsi intendono agire come strumento per rompere l’isolamento politico, dando la possibilità a visitatori e abitanti di comunicare, proteggendo la terra da ulteriori pressioni considerate coloniali.

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Last modified: 10 Luglio 2015